C’erano una volta, in ogni ordine e grado d’istruzione, studenti svogliati e demotivati e studenti che non lo erano; persone che apprendevano con fatica e persone che apprendevano con facilità; persone decisamente non tagliate per gli studi e persone che erano disposte a fare dell’impegno di studio il cardine della propria esistenza.
Un’eco di queste presenze differenziate si coglie ancora nella nostra Costituzione repubblicana, là dove si garantisce, o perlomeno si dice che si vorrebbe garantire, il diritto allo studio ai “capaci e meritevoli”.
Ovviamente la Costituzione condivide la sorte di tutte le opere che vengono citate con molta, troppa frequenza: è un testo sacro, quindi intangibile per gli enunciati che ci fanno comodo, mentre diventa caduco, legato al tempo in cui fu scritto e quindi interpretabile a piacere per gli enunciati che non ci fanno comodo. Era quel che succedeva e che succede nelle guerre di religione, da cui dall’alto del nostro laicismo progressista ci riteniamo tanto lontani.
Quelle due parolette, “capaci e meritevoli”, nella loro apparente ovvietà, contengono una carica distruttiva: l’esistenza delle persone capaci e meritevoli fa ipotizzare l’esistenza di quelle non capaci e non meritevoli. Apriti o cielo! Questo vuol dire che il mondo è diviso in due blocchi; che i cervelli non funzionano e non rendono tutti allo stesso modo, che la reattività nel campo del sapere e dell’apprendimento è individuale e non generalizzata; con la “insana” e inaccettabile conseguenza, saltando molti passaggi intermedi, che si dovrebbero mandare all’Università e poi magari in cattedra le persone del primo tipo e non quelle del secondo.
Quei due aggettivi contengono quindi una forza dirompente di fronte alla fissazione egalitaristica da cui la nostra società sembra posseduta. Una fissazione che ha le sue radici nella dottrina marxista, o meglio nella propaganda e nell’interpretazione estensiva che ne è stata fatta nei paesi dell’Occidente, tra cui l’Italia, ma che ha avuto ed ha il terreno di coltura nel materialismo pratico che è ormai la regola di vita, senza distinzione di blocchi; e nell’egoistico interesse di coloro cui è stata fatta balenare la prospettiva di raggiungere gli stessi traguardi delle persone o più dotate, e/o comunque più studiose.
C’è stato un lungo periodo, gli anni Sessanta e Settanta, in cui gente che aveva scalato la montagna con le proprie gambe ha avuto la sorpresa di dover dividere il posto sulla vetta con un cospicuo numero di gitanti della domenica, che si erano avvalsi della funivia, ovvero del percorso agev