Da anni se ne parla essendo un argomento sul tavolo di ogni tipo di governo che trovandosi di fronte a un problema di non facile soluzione, cerca di aggirarlo accollando – se potesse – tutto al privato. Ma i fondi integrativi non sono riusciti sin ora a decollare e le ragioni, pur diverse, non sono difficili da accertare. La prima ragione è la diffidenza.
Per decenni la gestione pubblica dei fondi pensione è stata tanto “allegra”, come appare dai vari servizi dei maggiori giornali, da generare indifferenza, per non dire diffidenza, verso fondi integrativi di natura ancora vaga. Allora il dipendente aspetta chiarimenti amministrativi dal governo il quale non si è mai sbilanciato, indipendentemente dalla sua collocazione politica.
Altro elemento da rimuovere, per far decollare la pensione integrativa, è il livellamento verso il basso della linea stipendiale. Ora lo stipendio del docente, oltre a essere il più basso in Europa, ha una linea di crescita di scarso rilievo dall’immissione in ruolo all’atto di collocamento a riposo. Malgrado ciò l’amministrazione pretende dal docente una partecipazione sempre più attiva nel campo didattico e in quello della ricerca, oltre una responsabilità diretta in quello organizzativo (convegni..). A fronte di detto maggior onere di attività retribuite, l’amministrazione, oltre a non rispondere in termini economici aggiunge al docente l’onere della pensione integrativa.
Una volta non si stava molto meglio, ma non c’era detto appiattimento veramente frustrante per la personalità del docente. Allora il professore usufruiva dopo 15 anni circa di carriera, di sensibili miglioramenti nel trattamento economico che permettevano di provvedere a qualche forma di assicurazione privata.
Inoltre, per chi entrava nel ruolo statale, esistevano almeno due certezze: stabilità del posto e pensione sicura. Oggi la prima lo è relativamente, mentre la seconda sicuramente non lo sarà.
I fondi della previdenza soci