Ora scoprono che i docenti sono vecchi
di Dario Sacchi - 18 luglio 2006
Il Comitato Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario, presieduto da Giuseppe De Rita, ha reso noto il suo 3° rapporto annuale e una volta tanto la nostra stampa ha pensato bene di dare ampio risalto all’evento, contravvenendo alla propria tradizione di scarsa sensibilità e attenzione per le vicende e i problemi dell’Accademia. Un simile comportamento è forse dipeso dal fatto che il rapporto di quest’anno conteneva un vero e proprio grido d’allarme: infatti, come il Corriere della Sera ha spiegato dettagliatamente sabato 27 luglio, dalle indagini del CNVSU è risultato che i professori universitari italiani sono in media assai più attempati dei loro colleghi europei ma poi, soprattutto, che sono ormai anziani anche i ricercatori che dovranno sostituirli. Vale la pena di riportare i dati nei quali si compendia questa preoccupante situazione.
Di qui al 2017 -ecco la premessa di tutto il discorso, senza della quale non si potrebbe cogliere appieno la drammaticità del quadro- circa 25.000 professori universitari, il 45% del totale, andranno in pensione. Ora, l’età media della categoria è aumentata notevolmente negli ultimi 15 anni: dai 38 anni del 1985 è infatti salita ai 52 del 2001 (in particolare l’età media dei professori ordinari l’anno scorso era di 55 anni, quella degli associati era di 50 anni) e i professori che hanno fra i 24 e i 44 anni sono ormai solo il 29%. In particolare, poi, diminuiscono vertiginosamente i docenti sotto i 34 anni, che sono il 6% contro il 13% dell’85 (si pensi che in Francia i docenti universitari sotto i 34 anni sono il 13%, in Inghilterra il 31%). Ma i ricercatori, che dovrebbero sostituire i professori di ruolo, hanno un’età di poco inferiore: nel 1985 quelli di età compresa fra i 45 e i 54 anni erano il 5%, oggi sono più del 36%.
Morale della favola: se non si correrà ai ripari moltissimi corsi di laurea potrebbero non avere il requisito primario per funzionare, ossia i docenti; è fin troppo noto, infatti, che occorrono diversi anni perché un giovane acquisisca una sufficiente maturità nella didattica e nella ricerca. Per questo motivo -informava il Corriere nell’articolo citato- anche la CRUI, la Conferenza dei Rettori, ritiene che nonostante le difficoltà finanziarie sia indifferibile selezionare dei giovani: altrimenti fra qualche anno il rischio sarebbe o di dover procedere ad immissioni in massa senza garanzie di qualità o di dover chiamare docenti dall’estero.
A fianco dell’articolo è stata pubblicata un’intervista a Enrico Decleva, rettore dell’Università di Milano, il quale fra l’altro ha dichiarato: “Se si continua di questo passo tra qualche anno andremo tutti in pensione, nello stesso momento. Si creerà quindi un vuoto rilevante di organico e per questo è necessario intervenire in tempi brevi con un’iniezione di giovani docenti. La classe docente sta invecchiando perché non sono stati introdotti elementi nuovi se non a livello di ricercatori e il sistema di concorsi, che è stato finora adottato, di fatto ha prodotto solo promozioni. Nei decenni passati il reclutamento universitario è avvenuto a ondate; l’aumento degli organici era legato a scelte normative con le quali si è cercato di far fronte all’aumento della domanda studentesca. Per questo sono stati assunti docenti della stessa generazione o comunque con una minima differenza d’età”.
Fin qui, dunque, il “Corriere” e anche altri giornali. Da parte nostra non possiamo fare a meno di osservare che se tutto questo non fosse tragico,<
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