Per un pugno di €uro
di Virginia Cisotti - 11 ottobre 2006
L’attuale ministro dell’Università, Fabio Mussi, aveva dichiarato di essere pronto a dare le dimissioni nel caso che la Finanziaria non avesse accolto le sue richieste per la ricerca scientifica. V’è stato un accordo per cui l’Università quest’anno non rientra negli ambiti su cui la Finanziaria andrà ad incidere. Non è sicuro che questo sia un trattamento di favore; il problema viene rinviato, ma non vi sono buone prospettive di una accettabile soluzione.
La campanella delle dimissioni hanno finito per suonarla tutti i ministri del MURST e del MIUR degli ultimi dieci anni. La realtà è che i fondi per l’Università sono in costante diminuzione. Le legge per l’autonomia universitaria, votata il 23 dicembre 1992, nel quadro della Finanziaria per il 1993, dando ai singoli Atenei l’obbligo di cavarsela con le proprie risorse, pur ricevendo ancora una cospicua cifra dal FFO (Fondo di Finanziamento Ordinario), ma senza la possibilità di ripianamento dei deficit di bilancio da parte del ministero , è stata un’ autentica ghigliottina. Ciò significa che con il regime precedente c’era stata in molti casi, nella gestione dei fondi degli Atenei, una mancanza di oculatezza che talvolta poteva anche sconfinare nella finanza allegra.
Ma c’erano stati pure dei vantaggi nella libertà di movimento nella ripartizione dei fondi, dato che questa libertà aveva consentito che l’attività didattica e di studio si svolgesse senza troppo affanno.
Ora che, a petto dell’aumento inesorabile dei costi, la fetta dei fondi concessa per l’attività didattica e la ricerca diventa ogni anno più esigua, e viene abbattuta del 40% e persino del 50%, l’affanno diventa sempre più manifesto. Vengono sottratte quote di risorse già ufficialmente attribuite, per esempio il 10% dei fondi rettorali già concessi. V’é la tendenza a non creare più personale incardinato, cioè di ruolo; chi va in pensione, pur “liberando delle risorse”, spesso non viene sostituito.
Il pensionamento del personale di ruolo è una vera manna, per i bilanci degli Atenei; le pensioni infatti sono pagate da un’altra cassa in attesa di quella definitiva e non più figurata.
La tendenza già delineatasi negli anni passati e ora divenuta una necessità, è quella di dare contratti e contrattini ex. art. 47, ex. art. 46 e via discorrendo, di non più di 100 ore (gli ex. art.46), ma di solito di 60, di 40 e anche di 20 ore, a persone che, pur avendo i titoli richiesti, sono e si sentono provvisorie, non legate all’Istituzione in cui hanno sempre meno possibilità di carriera. Inoltre non possono vivere di quell’unico provento, peraltro quasi sempre miserabile e soggetto a riduzione, per cui la loro sosta nell’Università equivale ad una attesa di collocazione migliore.
Chiamo miserabi
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